Frida Kahlo e “Le due Frida”: quando l’identità si fa pittura

Crediti: "Le due Frida" di Frida Kahlo, conservata al Museo de Arte Moderno di Città del Messico, immagine visualizzata su FeelTheArt, distribuita sotto licenza CC BY-SA 4.0 (https://app.fta.art/it/artwork/099a68f6a05bf77c6aa04fa5dbd0bc7286eb2a11).

Attribuzione crediti immagine: “Le due Frida” di Frida Kahlo, conservata al Museo de Arte Moderno di Città del Messico, immagine visualizzata su FeelTheArt, distribuita sotto licenza CC BY-SA 4.0 (https://app.fta.art/it/artwork/099a68f6a05bf77c6aa04fa5dbd0bc7286eb2a11).

Frida Kahlo non è solo una pittrice messicana dal talento straordinario: è una voce che parla direttamente al cuore di chi la osserva. Le sue opere non colpiscono solo per colori e tecnica, ma per la capacità di raccontare dolore, identità e ribellione come un grido silenzioso.

Nel 1939, con Le due Frida, Frida dà forma a un’immagine potente e indimenticabile: due donne identiche, sedute fianco a fianco, legate da un cuore pulsante e divise da un senso profondo di solitudine. È un quadro che parla di fratture interiori, di fragilità, ma anche di coraggio — quello di accettarsi, anche quando si è spezzati.

Due donne, una sola Frida

Quando si viene a contatto con “Le due Frida”, ci si immerge nella realtà dell’artista in un momento di vita segnato da una profonda sofferenza fisica ed emotiva che Frida rappresenta con un duplice autoritratto in cui si siede accanto a se stessa, con le mani unite e i cuori collegati da un’arteria.

Sulla sinistra, viene rappresentata Frida vestita con un abito chiaro e raffinato in stile europeo. Si legge una parte di sé che forse non si riconosce più: è pallida, ferita, il cuore le sanguina e l’arteria è recisa. Accanto, la Frida con l’abito tradizionale messicano – il vestito delle Tehuane, le donne forti del sud del Messico – ha un cuore intatto e vitale e tiene tra le dita l’immagine del suo compagno come se fosse un reliquiario, ma anche un frammento di sé.

È uno dei primi quadri che Frida dipinge dopo il divorzio da Diego Rivera, noto pittore con cui ha condiviso una relazione complessa, intensa e a tratti distruttiva. Eppure, anche se il dolore è presente, non è al centro. Al centro c’è la Frida che guarda, che si guarda. Una donna che si mette letteralmente a nudo, che si ritrae due volte, che non nasconde la frattura ma decide di mostrarla come parte integrante della propria identità.

La solitudine come atto creativo

C’è qualcosa di profondamente umano nell’idea artistica di moltiplicarsi per farsi compagnia, per tenersi la mano, per mostrarsi nelle proprie molteplici dimensioni emotive che non entrano in conflitto, ma convivono. Da una parte il passato, dall’altra il presente. La coesistenza insita nell’essere umano di forza e fragilità, di bisogno di ritiro e apertura alla vita. Le due Frida mettono in scena questo dialogo interno con una semplicità spiazzante.

Ammirando l’opera nella sua completezza, Frida si percepisce malinconica, sebbene offra sostegno a se stessa attraverso l’unione tra le due mani, le quali mettono in continuità il passato col presente.

Forse è questa la vera forza del quadro. Non mostra una donna spezzata e sofferente, ma una donna che si concede lo spazio per essere complessa. Che accetta le sue contraddizioni, che non ha paura di metterle su tela. E che, nel farlo, crea un’opera capace di parlare a chiunque abbia mai sentito di non essere “una cosa sola”.

Identità femminile e autodeterminazione

Nel contesto in cui Frida dipinge – il Messico degli anni Trenta, segnato dalla rivoluzione culturale ma ancora dominato da strutture patriarcali – Le due Frida è un gesto rivoluzionario. La pittrice non si limita a raccontarsi: si autorappresenta, decide come vuole essere vista, prende possesso della propria immagine e lo fa con un linguaggio che mescola simbolismo, cultura popolare, medicina e spiritualità.

Non dipinge la donna ideale, dipinge sé stessa. Con il sangue, con il cuore, con le radici. In un mondo in cui la rappresentazione femminile era spesso affidata allo sguardo maschile, Frida sovverte le regole: non è musa, è pittrice. Non è oggetto, è soggetto.

Oggi, a quasi un secolo di distanza, quel quadro continua a parlare a chi cerca una propria definizione, a chi fatica a tenersi insieme, a chi ha imparato a non avere paura della complessità. È un inno all’identità come processo, non come etichetta. Come scelta, non come destino.

Guardarsi senza giudizio

Soffermandosi sullo sguardo, ciò che colpisce è che Le due Frida non si guardano tra loro, guardano chi, incuriosito, si avvicina all’opera. Guardano avanti. Non chiedono pietà, non cercano risposte. Offrono una presenza sicura e impavida, rivolta al mondo che si affaccia di fronte a sé. La potenza di Frida Kahlo esplode negli occhi di chi osserva, di chi si fa spettatore ricordando che è possibile tenersi per mano in momenti di grande sofferenza e, nella quotidianità, quando si contatta la sensazione di percepirsi divisi o in contraddizione.

Frida Kahlo non ci ha lasciato solo un autoritratto. Ci ha lasciato uno specchio.

Bibliografia

Herrera, H. (2002). Frida: A biography of Frida Kahlo. Harper Perennial.
(Trad. it. Frida. Una biografia di Frida Kahlo. Milano: Il Saggiatore, 2005)

Tibol, R. (1993). Frida Kahlo: An open life (E. Enríquez, Trans.). University of New Mexico Press.

Zamora, M. (Ed.). (1995). The letters of Frida Kahlo: Cartas apasionadas. Chronicle Books.

Kettenmann, A. (2003). Frida Kahlo, 1907–1954: Pain and passion. Taschen.

È fondamentale ricordare che quanto espresso all’interno del presente articolo dal punto di vista psicologico, non intende generalizzare le esperienze individuali o fare diagnosi, ma fornire strumenti di riflessione basati su studi scientifici, rispettando la complessità e l’unicità di ogni vissuto emotivo e relazionale.

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